La prova delle cessioni comunitarie di beni

Quando un’impresa effettua una operazione di cessione intracomunitaria, le cessioni di beni realizzate con operatori commerciali europei sono qualificate “non imponibili” ai fini dell’imposta sul valore aggiunto. A tale proposito, l’art.41 del citato decreto definisce i presupposti di fatto, sul piano soggettivo ed oggettivo, che le cessioni devono presentare per godere dell’esenzione.

I requisiti – che devono ricorrere congiuntamente al fine di qualificare un’operazione come cessione intracomunitaria di beni - sono quattro e, precisamente:

1)            onerosità dell’operazione (non gratuita);

2)            trasferimento del diritto di proprietà o di altro diritto reale sui beni che ne formano oggetto;

3)            status di operatore economico dei contraenti, i quali devono intervenire in qualità di soggetti passivi di imposta (l’ordinamento interno prevede che l’impresa debba verificare la validità del numero di identificazione Iva del proprio cliente nel sistema di controllo delle partite Iva comunitarie denominato Vies;

4)            movimentazione fisica dei beni dal territorio nazionale ad altro Stato della Comunità.

È sufficiente che manchi uno solo dei predetti requisiti che la cessione si considera effettuata ai fini Iva in Italia, sempre che l’operazione integri i presupposti (soggettivo, oggettivo e territoriale) richiamati dal d.P.R. n.633/72.

 

La prova della movimentazione fisica dei beni

Tra i diversi requisiti sopra esaminati, quello che presenta il maggior profilo di criticità è certamente quello rappresentato dalla prova della movimentazione fisica dei beni e cioè che i beni abbiano lasciato l’Italia per raggiungere un altro Paese comunitario.

Le difficoltà legate alla precisa e corretta individuazione di tale evento sono riconducibili anche al fatto che:

•             per il perfezionamento di una cessione intracomunitaria non assume alcuna rilevanza che il trasporto o la spedizione avvengano a cura del cedente residente ovvero del cessionario stabilito nel Paese comunitario di destinazione dei beni;

•             nelle disposizioni interne non si rinvengono indicazioni normative circa i mezzi di prova cui l’operatore nazionale può fare affidamento per dimostrare l’effettivo arrivo a destinazione delle merci oggetto della transazione.

La prima considerazione assume certamente rilevanza nel caso delle cessioni intracomunitarie concluse con clausola “franco fabbrica” o “Ex Works”, caratterizzate dal fatto che in tali operazioni il trasporto della merce è affidato all’acquirente comunitario, con conseguente difficoltà da parte del cedente nazionale di tracciare l’effettiva movimentazione dei beni venduti.

La seconda considerazione, riferita all’assenza di una disciplina di riferimento, ha posto gli operatori nell’incertezza circa la documentazione da produrre per offrire prova della compresenza dei requisiti richiesti ai fini della fruizione del regime di non imponibilità.

Sono quindi le indicazioni operative fornite dall’Amministrazione finanziaria ed i principi espressi dalle sentenze della giurisprudenza comunitaria e nazionale – ancorché non sufficienti a sistematizzare una materia che meriterebbe di essere trattata sul piano del diritto – a dover guidare i comportamenti degli operatori.

Nell’intento di fornire utili indicazioni operative alle imprese che realizzano con frequenza tali operazioni, riportiamo di seguito, in forma di rappresentazione schematica, le principali indicazioni operative che sono giunte (soprattutto a partire dall’anno 2007) da parte dell’Amministrazione finanziaria in merito alla dimostrazione (prova) circa l’avvenuto trasferimento dei beni.

Dall’analisi dei diversi documenti di prassi emerge chiaramente come il “principale” strumento di prova della cessione intracomunitaria è certamente rappresentato dalla lettera di vettura internazionale (cosiddetto CMR), sottoscritta da tutti gli attori che entrano in gioco nell’operazione (cedente nazionale, acquirente comunitario, incaricati del trasporto). È però in carenza di tale documento o in presenza dello stesso non opportunamente sottoscritto che diventa importante valutare la sussistenza di ulteriori elementi di prova, pur nella consapevolezza che soluzioni diverse non hanno in taluni casi impedito ai soggetti interessati di subire nel corso degli anni rettifiche da parte degli organi verificatori che non hanno ritenuto adeguatamente comprovato l’avvenuto trasferimento dei beni.

 

Strumenti di prova nelle cessioni intracomunitarie

Risoluzione n.345/E/07 Costituiscono valida prova della cessione intracomunitaria i seguenti documenti, da conservare nei limiti temporali richiesti dall’attività accertativa:

1.            la fattura di vendita emessa nei confronti dell’acquirente comunitario, senza applicazione dell’imposta a norma dell’art.41 D.L. n.331/93;

2.            gli elenchi riepilogativi relativi alle cessioni intracomunitarie;

3.            il documento CMR firmato da tutti i soggetti intervenuti nella transazione, ovvero dal trasportatore per presa in carico della merce e dal destinatario per ricevuta;

4.            la rimessa bancaria dell’acquirente riferita all’operazione.

Circolare n.41/E/08         L’agenzia delle Entrate ha precisato che il CMR, quale mezzo utile a documentare la materiale movimentazione dei beni dall’Italia ad altro Paese dell’Unione, era stato citato in detta risoluzione a mero titolo “esemplificativo”, rappresentando, in effetti, solo uno dei possibili strumenti per testimoniare l’effettività dell’operazione.

Risoluzione n.123/E/09 Nel caso di una cessione realizzata con una controparte sanmarinese l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che l’invio delle merci può evincersi “dalla lettera di vettura che indichi come luogo di partenza in confine italo-sanmarinese e destinazione lo Stato comunitario di arrivo dei beni”, tacendo sulla necessità di sottoscrizione del CMR da parte del ricevente.

Nota Agenzia Entrate

prot. n.2010/141933       Nel caso di cessione con clausola “franco fabbrica”, considerate le difficoltà di recupero del CMR da parte dell’operatore residente, l’Amministrazione ha ritenuto che possa trovare accettazione quale elemento di prova, anche una dichiarazione inviata dalla controparte contrattuale che attesti l’effettivo arrivo a destinazione della merce nello Stato membro.

Risoluzione n.19/E/13   Con questo documento di prassi, che ha il pregio di riepilogare in modo organico i precedenti chiarimenti, l’Agenzia delle entrate pronunciandosi nel merito della validità dei mezzi di prova sostitutivi individuati dal contribuente ha, in sostanza:

•             ammesso che possano assumere dignità di prova le informazioni estratte dal sistema informativo del vettore, da cui emerga che le merci hanno lasciato lo Stato di residenza del cedente e raggiunto lo Stato comunitario di destinazione. Anche per tali documenti rimangono valide le osservazioni formulate dall’Agenzia con riferimento al CMR elettronico, in relazione alla natura analogica del documento e alla conseguente necessità di una sua successiva materializzazione su un supporto fisico;

•             confermato quanto esposto nella precedente nota prot. n.2010/141933, per cui continua ad assumere validità nei termini che qui interessa la dichiarazione sottoscritta dell’acquirente che attesti il materiale ricevimento dei beni. In tal senso, la certificazione del cliente costituisce valida prova solo se acquisita congiuntamente ad altri documenti idonei, nel loro complesso, a integrare tutti gli elementi del CMR;

•             precisato che il CMR che non rechi la firma del cessionario per ricevuta delle merci, può dimostrare l’avvenuta cessione intracomunitaria, come richiamato nella risoluzione n.477/E/08, sempre che risulti accompagnato da ulteriore documentazione a integrazione degli elementi di cui il CMR acquisito risulta carente,

•             specificato, in merito alle prescrizioni contenute nella risoluzione n.345/E/07, che condizione ulteriore perché l’insieme dei predetti documenti possa assumere rilevanza giuridica è che gli stessi vengano conservati congiuntamente alle fatture di vendita, alla documentazione bancaria attestante la riscossione del corrispettivo della transazione, alla documentazione relativa gli impegni contrattuali assunti e agli elenchi riepilogativi degli scambi intracomunitari. La conservazione deve essere assicurata fino al termine stabilito per l’attività di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria, a norma dell’art.57 d.P.R. n.633/72;

•             evidenziato, quanto alla tempistica con cui il fornitore è tenuto a acquisire la prova dell’avvenuto trasferimento all’estero dei beni venduti e prendendo spunto dagli orientamenti della Corte di Giustizia, che, pur non essendovi un termine perentorio per adoperarsi in tal senso, non può escludersi che l’operatore debba acquisire e conservare i mezzi di prova con l’ordinaria diligenza. In latri termini, l’Amministrazione finanziaria può pretendere che il contribuente si attivi “senza indugio” per comprovare la non imponibilità della cessione.

Circolare Assonime n.20/13        Presa cognizione delle difficoltà degli operatori in buona fede di esercitare un fattivo controllo sulla fase di trasporto delle cessioni con clausola “franco fabbrica”, appronta alcune soluzioni operative. In particolare viene proposta l’apposizione di una serie di vincoli negoziali a carico del cessionario non residente ovvero del vettore da questi incaricato negli atti da cui l’operazione trae causa. In forza di tali clausole, il cessionario comunitario, ad esempio, si obbligherebbe a comunicare al venditore il mancato ricevimento dei prodotti ovvero la consegna di questi in un luogo diverso da quello originariamente pattuito.

Disposizioni simili potrebbero essere previste nei riguardi del vettore incaricato dal cessionario estero del trasporto, mediante integrazione del documento di trasporto con la menzione dell’obbligo da parte di questi, di rendere noto al venditore il mancato buon fine della spedizione ovvero il recapito dei beni in un luogo diverso da quello indicato in detto documento.

Sempre a titolo esemplificativo, Assonime menziona la possibilità di integrare l’atto di cessione con una clausola che imponga all’acquirente di rifondere il cessionario delle imposte, maggiorate di sanzioni e interessi, che l’Amministrazione finanziaria potrebbe pretendere dallo stesso venditore qualora non consideri fondato l’invio all’estero delle merci cedute e l’acquirente non abbia rispettato il predetto obbligo di comunicazione del mancato ricevimento dei beni.

Peraltro, come evidenziato dalla stessa associazione, l’apposizione di clausole sbilanciate a tutela del venditore, potrebbe incontrare difficoltà sul piano pratico nei casi di “rapporti di forza” pendenti in favore del soggetto estero.

 

Trattandosi di elencazioni esemplificative e non esaustive (proprio in ragione della mancanza di una quadro normativo di riferimento), in presenza di operazioni particolari che differiscono da quanto già chiarito a livello di prassi, si consiglia di valutare attentamente la documentazione da conservare a supporto dell’operazione, anche in considerazione del fatto che la stessa Corte di Cassazione (la n.20980/13 per citarne una recente), sulla scia di numerose pronunce comunitarie, si è espressa in coerenza del principio per cui l’onere di provare il diritto a fruire di una deroga ovvero di un’esenzione fiscale, incombe sul soggetto che beneficia dell’applicazione di tale diritto.

Più semplicemente, spetta al soggetto che realizza una cessione intracomunitaria dimostrare la materiale fuoriuscita dei beni dai confini nazioni e la consegna degli stessi in altro Paese della Comunità.