Diritto alla provvigione

IL DIRITTO ALLA PROVVIGIONE SUGLI AFFARI

CONCLUSI DURANTE IL RAPPORTO


A’ sensi del“nuovo” art. 1748 c.c. l’agente ha diritto alla provvigione:

a)   per tutti gli affari conclusi dal preponente durante il contratto per effetto del suo intervento;

b)   per gli affari che il preponente ha concluso con terzi che l’agente aveva in precedenza acquisito come clienti per affari dello stesso tipo;

c)   per gli affari conclusi dal preponente, direttamente o a mezzo di altri soggetti, quando operi in esclusiva e tali affari rientrino nel territorio o fra la clientela a lui riservata.

La vera innovazione è costituita dalla previsione dell’obbligo di corrispondere la provvigione anche quando l’agente non ha promosso l’affare e non gode di esclusiva, ma il cliente con il quale tale affare è stato concluso era già stato acquisito dall’agente medesimo. In sostanza, il solo fatto di apportare un nuovo cliente determina il diritto alla provvigione per tutti gli affari che il preponente concluderà con lo stesso.

La disposizione ricalca quella contenuta nell’art. 7 della Direttiva Cee: l’agente ha diritto alla provvigione “quando l’operazione è stata conclusa con un terzo che egli aveva precedentemente acquisito come cliente per operazioni dello stesso tipo”.

Va peraltro precisato che in relazione alle previsioni di cui alle lettere b) e c) è ammessa la pattuizione contraria, cosicchè non è impedito alle parti escludere il diritto in relazione ad affari non promossi dall’agente che non opera in esclusiva, oppure conclusi direttamente dal preponente nella zona o con la clientela riservata all’agente (Si veda, ad esempio, l’esclusione di clienti direzionali, G.D., G.D.O. o, meglio, individuati nominativamente.

Nel silenzio delle parti, però, vigono le regole sopra richiamate cosicchè, se si intende disciplinare diversamente il diritto alla provvigione, lo si deve stabilire esplicitamente nel contratto.

La pattuizione contraria non è invece consentita in relazione agli affari che sono stati conclusi grazie all’intervento dell’agente. Il che è coerente con la ritenuta illegittimità della preventiva rinuncia al diritto alla retribuzione per l’attività effettivamente svolta.

A proposito del diritto alla provvigione sugli affari conclusi direttamente dal preponente si è ripetutamente posto il problema della sussistenza o meno di tale diritto quando sia un terzo a concludere affari con clienti per i quali l’agente gode del diritto di esclusiva.

Si ipotizzi il caso di centrali d’acquisto, rivenditori, commercianti situati in altra zona che, dopo avere acquistato prodotti dal preponente, li rivendano a clienti della zona riservata all’agente.

La questione è stata affrontata espressamente dalla Corte di Giustizia alla quale è stata sottoposta dalla Cassazione francese nei seguenti termini: “Se l’art. 7, n. 2, della direttiva (…)debba essere interpretato nel senso che un agente commerciale incaricato di una zona geografica determinata ha diritto ad una provvigione nel caso in cui un’operazione commerciale sia stata conclusa tra un terzo ed un cliente appartenente a tale zona, senza che il preponente intervenga in modo diretto o indiretto in tale operazione”.

Richiamata la precedente sentenza 12 dicembre 1996, causa C-104/95, nella quale si era espressa per il diritto dell’agente alla provvigione anche per gli affari conclusi dal preponente con clienti appartenenti alla zona geografica a lui riservata benchè la conclusione fosse avvenuta senza suo intervento, la Corte ha evidenziato che diverso è il caso sottoposto in quanto in tale conclusioneera mancato l’intervento, non solo dell’agente, ma pure del preponente.

Se, infatti, l’art. 7, n. 2 della direttiva si limita a prendere in considerazione ogni“operazione conclusa durante il contratto di agenzia”, senza ulteriore precisazione, tuttavia esso va letto in combinato disposto con l’art. 10 che individua gli eventi che fanno sorgere tale diritto, nei quali “la presenza del preponente nelle operazioni per le quali l’agente commerciale ha diritto alla provvigione è indispensabile”.

Se ne ha conferma nell’art. 11, n. 1 che, anche a proposito dell’unica causa di estinzione del diritto alla provvigione, fa espresso riferimento al preponente il cui ruolo assume importanza rilevante ai fini dell’esistenza del diritto.

Da ciò la conclusione che “l’agente commerciale ha diritto alla provvigione solo in quanto il preponente sia intervenuto direttamente o indirettamente nella conclusione del contratto.

Al giudice nazionale viene demandato il compito di stabilire se, alla luce degli elementi di cui è in possesso e tenuto conto delle finalità di tutela dell’agente nonché dell’obbligo di lealtà e di buona fede che incombe al preponente, vi sia stato un intervento del preponente, indipendentemente dal fatto che sia di natura giuridica (come l’intermediazione di un rappresentante) o di fatto.

In conclusione: l’art. 7, n. 2, primo trattino della Direttiva – e conseguentemente l’art. 1748, 2° comma cod. civ. italiano – deve essere interpretato nel senso che l’agente commerciale incaricato di una zona geografica determinata non ha diritto alla provvigione per le operazioni concluse da clienti appartenenti a tale zona con un terzo senza l’intervento, diretto o indiretto, del preponente.

 

Il diritto alla provvigione sugli affari conclusi o eseguiti dopo la cessazione del rapporto

Il D.Lgs. n. 65/1999 è intervenuto ad operare un correttivo anche a proposito del diritto alla provvigione per affari che il preponente ha concluso dopo la cessazione del rapporto.

Va ricordato che il D.Lgs. n. 303/1991 aveva esplicitamente regolato il caso in esame riconoscendo il diritto alla provvigione quando la conclusione fosse attribuibile soprattuttoall’attività dell’agente sfociata in un ordine solo successivamente alla risoluzione del contratto di agenzia, ma non prevedeva un termine entro il quale tale ordine dovesse pervenire.

L’art. 8 della Direttiva Cee, invece, fa riferimento ad un termine “ragionevole” ed estende il diritto all’ovvio caso della trasmissione dell’ordine prima dell’estinzione del contratto di agenzia; fattispecie, quest’ultima, esplicitamente regolata dagli accordi economici collettivi.

L’attuale formulazione dell’art. 1748 c.c. si è adeguata alla Direttiva, eliminando così una delle carenze per le quali era stata promossa la procedura d’infrazione.

Il diritto alla provvigione è ora chiaramente individuato in relazione agli affari conclusi dopo lo scioglimento del contratto se la proposta è pervenuta al preponente o all’agente in dataantecedente o gli affari sono conclusi entro un termine ragionevoledalla data dello scioglimento stesso e la conclusione è riconducibileprevalentemente all’attività svolta dall’agente stesso.

L’indicazione di un termine ragionevole ha lasciato spazio alla contrattazione collettiva ed al contratto individuale.

Per quanto riguarda l’uso dell’avverbio prevalentemente rispetto al precedentesoprattutto, nulla è mutato in quanto si tratta quasi di sinonimi.

La disposizione in esame ha anche opportunamente preso in esame la posizione degli agenti che sisuccedono nell’incarico ed ha stabilito la regola del diritto alla provvigione solo in favore dell’agente “precedente”, cioè di quello operante nel momento nel quale è pervenuto l’ordine, oppure al quale è attribuibile (prevalentemente) la conclusione del contratto anche se l’ordine è pervenuto quando l’agente era un altro.

A questa regola è stato tuttavia concesso un correttivo, consentendo una diversa pattuizione quando “specifiche circostanze”rendano equa la ripartizione tra gli agenti “intervenuti”. Quest’ultima dizione sembrerebbe individuare tali circostanze nell’espletamento di una certa attività anche da parte dell’agente subentrato; è il caso dell’agente “successivo”chiamato a compiti operativi per il perfezionamento della trattativa o della fase esecutiva del contratto. (L’art. 9 della Direttiva si limita ad escludere il diritto alla provvigione, per l’ipotesi in esame, se essa è dovuta all’agente precedente, “a meno che non risulti dalle circostanze che è equo dividere la provvigione tra gli agenti commerciali”).

La fattispecie che stiamo esaminando richiede alcune precisazioni perché, non di rado, si pone un rilevante problema interpretativo.

L’individuazione dell’affare in relazione al quale sorge il diritto alla provvigione, la quantificazione di quest’ultima e l’attribuzione ad uno specifico agente non prospettano particolari difficoltà quando si sia in presenza di un contratto che prevede la vendita di beni o la prestazione di servizi che siano predeterminati anche nella loro entità; il che si verifica pure quando si sia in presenza di contratti ad esecuzione continuata o periodica, o ad esecuzione differita.

Si vedano, in particolare, i contratti di somministrazione o di vendita con consegne ripartite, in forza dei quali la fornitura o la vendita di un quantitativo è già stabilita in contratto, ma la consegna viene dilazionata nel tempo

In questi casi siamo in presenza di un contratto concluso in corso di rapporto per la totalità dei beni, ed è solo l’esecuzione che viene ad essere differita, eventualmente anche dopo la cessazione del rapporto stesso

È indubbio che la provvigione spetti all’agente che ha promosso la stipulazione del contratto o comunque che era in corso di rapporto quando è pervenuta la proposta del (o è stato concluso il) contratto stesso.

Parimenti, a tale agente spetta la provvigione ove il contratto si sia concluso in un ragionevole lasso di tempo successivo alla cessazione del rapporto, per effetto dell’attività prevalentemente a lui riconducibile.

Un’eventuale ripartizione della provvigione con l’agente che gli è succeduto potrebbe giustificarsi in caso di contributo non irrilevante dato da quest’ultimo alla stipulazione del contratto o alla successiva fase di esecuzione. Dunque: finché dura la fornitura o la consegna dei beni oggetto del contratto, l’agente ha diritto di percepire la provvigione indipendentemente dal momento in cui tale fornitura o consegna vengano effettuate. Il momento di maturazione coincide con quello di esecuzione delle singole consegne dei beni o delle singole prestazioni di servizi, secondo il disposto del 4° comma dell’art. 1748 c.c., salvo che, per effetto di una specifica pattuizione, esso venga differito alla data dei singoli pagamenti.

Il problema si pone quando – specialmente nell’ambito della contrattazione con la Pubblica Amministrazione – la preponente si veda aggiudicare la fornitura di determinati beni o servizi attraverso una convenzione “quadro” che indica le condizioni in forza delle quali verranno successivamente effettuati gli ordinativi. Di norma tale convenzione prevede i beni ed i servizi oggetto della fornitura, i prezzi, le modalità di pagamento, non sempre i quantitativi che, comunque, sono poi lasciati alla discrezionale indicazione della Pubblica Amministrazione stessa nel momento in cui dà luogo ai singoli contratti di fornitura.

Accade che l’agente che ha svolto l’attività promozionale finalizzata all’aggiudicazione della gara, invocando quanto disposto dall’art. 1748, terzo comma, c.c., rivendichi le provvigioni relative a tutti gli affari conclusi dal preponente, anche successivamente alla cessazione del rapporto e senza limitazione temporale, ravvisando il momento genetico del diritto nell’aggiudicazione stessa

Al riguardo è stato osservato che il verbale di aggiudicazione della licitazione privata non ha valore di contratto, non potendosi escludere che la Pubblica Amministrazione, cui spetta valutare discrezionalmente l’interesse pubblico, possa rinviare la costituzione del vincolo al momento della stipulazione del contratto, fino al quale non esiste un diritto soggettivo dell’aggiudicatario all’esecuzione dello stesso

Anche per la Cassazione “il verbale di aggiudicazione definitiva a seguito di incanto pubblico o licitazione privata non necessariamente equivale, ad ogni effetto di legge, al contratto, perché l’art. 16, comma 4, R.D. 18 novembre 1923, n.2440, ha natura dispositiva (…) e pertanto la P.A., alla quale spetta valutare discrezionalmente l’interesse pubblico, può rinviare anche implicitamente la costituzione del vincolo al momento della stipulazione del contratto, fino al quale non sussiste un diritto soggettivo dell’aggiudicatario all’esecuzione dello stesso”.

In argomento si è pronunciata la giurisprudenza di merito nel prendere in esame la pretesa degli agenti di percepire le provvigioni per contratti di fornitura ad Aziende sanitarie ed enti ospedalieri, stipulati successivamente alla cessazione del rapporto di agenzia.

È stato obiettato che “i contratti stipulati con tali enti sono convenzioni generali per forniture di medicinali che avvengono periodicamente in base alle condizioni previste nei capitolati generali (quanto al prezzo di vendita od alle modalità e tempi di consegna)”. Considerato che tali convenzioni sono degli “accordi generali, poi seguiti comunque dalle singole vendite effettuate alle condizioni predeterminate”, è stato affermato che “spettano le provvigioni (sui singoli contratti di vendita) stipulati in corso di rapporto e non su tutte le vendite future, le quali non sono la conseguenza obbligata del capitolato (nei termini di una sorta di preliminare di vendita)

Nella stessa sentenza viene evidenziato che il preponente ha liquidato le provvigioni all’agente subentrante per le forniture successive alla cessazione del rapporto di agenzia, e che l’art. 1748, 3° comma, c.c., invocato a sostegno della fondatezza della domanda delle provvigioni, “mira a tutelare l’attività dell’agente in particolare nei casi di contratti di vendita relativi comunque a prestazioni uniche nel loro oggetto e nella causa, contratti in relazione ai quali l’agente ha speso tale sua attività preliminare”.

Fattispecie non configurabile nel caso di “future – e pertanto non determinabili fin dall’inizio– richieste di forniture da parte degli enti clienti”.

Anche per altro giudice di merito “i contratti con le aziende sanitarie sono convenzioni generali per forniture di prodotti diagnostici o sanitari, forniture che, tuttavia, avvengono periodicamente in base alle condizioni generali previste nei capitolati (quanto al prezzo di acquisto, modalità, tempi di consegna e simili); si deve dedurre che le vendite future specialmente nel caso risultino variate le condizioni contrattuali (tipo di prodotto, prezzi, clausole particolari) non possono essere qualificate come consegne ripartite riconducibili ad un originario contratto di somministrazione periodica ma configurano, in realtà, nuovi contratti (tanto è vero che necessitano di nuovi atti deliberativi da parte delle aziende sanitarie, tali da configurare in realtà nuove aggiudicazioni), atteso che tali acquisti, una volta scaduto il termine di validità della vendita precedente, non sono una conseguenza obbligata del capitolato, ma necessitano di negoziazione”, che non ha visto però la partecipazione dell’agente cessato”.

Dalla richiamata giurisprudenza è dato altresì ricavare la differenza intercorrente fra i contratti sopra richiamati e quelli di somministrazione o di vendita a consegne ripartite. In relazione a questi ultimi l’agente ha diritto alle provvigioni su tutte le forniture effettuate all’interno dello stesso, trattandosi di atti di esecuzione di un contratto unitario concluso nel corso di quello di agenzia, mentre, ove le forniture vadano qualificate come contratti di vendita indipendenti conclusi nel contesto di un contratto “quadro”, i contratti di vendita conclusi dopo la fine del contratto di agenzia non determinano il diritto alla provvigione.

Autorevole dottrina è giunta ad analoghe conclusioni. Essa mette tuttavia sull’avviso che,“con tutto ciò, potrebbero esservi spazi per sostenere che, essendo la conclusione del contratto quadro riconducibile all’attività dell’agente, gli spettano le provvigioni su tutti i contratti conclusi sulla base dello stesso. Molto dipenderà dai termini del «contratto quadro»: se questo si limita a dettare le condizioni per la conclusione di successivi contratti, vi sarà spazio per escludere un diritto alla provvigione per i successivi contratti di vendita; ove invece si possa desumere dal «contratto quadro» un vero e proprio impegno a concludere successive vendite, vi saranno maggiori giustificazioni per la soluzione opposta”.

Gli Autori consigliano di definire contrattualmente situazioni di questo tipo, “ad esempio stabilendo che oltre un certo termine dalla fine del contratto nessuna provvigione sarà dovuta all’agente, anche se si tratti di forniture effettuate sulla base di contratti conclusi prima dello scioglimento del contratto di agenzia”.

In effetti, viene spesso convenuto che l’agente non avrà diritto alle provvigioni maturate successivamente alla cessazione del rapporto, anche se relative ad affari promossi o conclusi durante lo stesso. Di norma tale previsione è correlata a quella che riconosce invece il diritto in relazione ad affari proposti o conclusi precedentemente alla costituzione del rapporto, ma conclusi o eseguiti successivamente.

A questo punto si tratta di verificare la validità di una simile clausola, e tale verifica passa attraverso la natura da attribuire alla disposizione contenuta nell’art. 1748, 3° comma, c.c.

Se le si riconosce natura imperativa, si viene a determinare la sua nullità a’ sensi dell’art. 1419, 2° comma, c.c. e la sua sostituzione con la norma imperativa. In realtà si preferisce valutare la disposizione in esame in termini di inderogabilità o meno.

La direttiva Cee, alla quale la normativa nazionale ha attinto, non fornisce un elemento di interpretazione diretto, mentre la dottrina che ha preso posizione in argomento è orientata per la derogabilità, osservando che, tutte le volte che la direttiva ha voluto l’inderogabilità, lo ha sempre detto espressamente”

In via generale tale soluzione è condivisibile, tanto più quando vi sia un contemperamento di interessi determinato dal beneficio iniziale.

Tuttavia non si possono sottacere le perplessità derivanti dal fatto che il compenso è collegato all’attività di promozione degli affari, e che l’attribuzione (di parte) della provvigione all’agente “successivo” si prospetta come un’eccezione che può verificarsi solo in presenza di “specifiche circostanze”.

Nel caso di forniture alla P.A. nell’ambito di una convenzione generale, che dà poi luogo a singoli contratti, il problema non si dovrebbe porre, nel senso che i singoli acquisti danno luogo a nuovi contratti la cui collocazione temporale è agevole e consente di individuare l’unico agente che ha diritto alla provvigione.

Diverso è il caso di acquisti successivi alla cessazione del rapporto riconducibili ad un contratto concluso nel corso dello stesso. In relazione a casi di questo tipo, se le parti intendono disciplinarli contrattualmente, possono adottare una clausola del seguente tenore.

Tenuto conto della particolarità del rapporto in relazione all’oggetto dell’attività svolta dal Preponente ed alle modalità di stipulazione dei contratti di vendita dei prodotti, l’Agente, in espressa deroga al disposto dell’art. 1748, comma 3, c.c., ha diritto alla provvigione sugli affari conclusi ed eseguiti dal Preponente stesso durante il rapporto e, quindi, anche se riferiti ad attività promozionale svolta da altri prima dell’inizio del rapporto medesimo. Resta d’altro canto escluso tale diritto per affari conclusi e/o eseguiti dopo la cessazione pur se riferiti ad attività promozionale dell’agente stesso.

Tale clausola comporta indubbiamente – com’è detto in modo esplicito - una deroga al disposto dell’art. 1748, 3° comma, c.c. ma la contempera con il vantaggio che all’agente deriva dal beneficio, all’inizio del rapporto, dell’attività svolta da quello precedente.

 

Il momento di maturazione della provvigione

Le innovazione più significative apportate dal D.Lgs. n. 65/1999 riguardano l’individuazione del momento in cui l’agente matura il diritto alla provvigione. Il Legislatore italiano ha ritenuto opportuno allinearsi alla normativa europea (se non sconvolgendo, certamente) quantomeno invertendo i principi che fino al 2.4.1999 avevano regolato la nascita del diritto dell’agente alla provvigione.

Sarà bene ricordare che il primo comma dell’art. 1748 c.c. riconosceva tale diritto“solo per gli affari che hanno avuto regolare esecuzione”; e gli A.E.C. “sugli affari andati a buon fine

Le disposizioni legislativa e contrattualcollettiva avevano portato all’insorgenza del diritto a percepire la provvigione solo nel momento in cui il preponente incassava l’intero corrispettivo dell’operazione commerciale.

Si trattava, peraltro, di una regola normativa, ma non di fatto. Frequenti erano i casi dell’anticipazione della corresponsione al momento della fatturazione, o dell’erogazione di acconti anche in misura fissa al di fuori delle previsioni contenute negli accordi economici collettivi.

Con l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 65/1999 la disciplina si è completamente modificata, cosicchè attualmente la provvigione spetta:

a)      Dal momento e nella misura in cui il preponente ha eseguito la prestazione in base al contratto concluso con il terzo.

Per individuare tale momento si deve fare riferimento ad un fatto, cioè all’effettiva esecuzione dell’obbligazione contrattuale.

Per esempio, se il contratto concluso è di compravendita, il preponente-venditore lo esegue quando consegna il bene all’altra parte; se il contratto ha ad oggetto una prestazione di servizi, potrà dirsi eseguito quando tale prestazione è stata effettuata.

Si ipotizzi il caso di un contratto di compravendita stipulato il 30/4 che preveda la consegna (in effetti avvenuta) il 30/5 ed il pagamento il 30/6. L’agente matura il diritto il 30/5, cioè al momento dell’esecuzione e prima del pagamento da parte dell’acquirente.

b)      Dal momento e nella misura in cui il preponente avrebbe dovuto eseguire la prestazione in base al contratto concluso con il terzo.

L’ipotesi in esame non è necessariamente quella di un (definitivo) inadempimento del preponente, nel qual caso la provvigione è comunque dovuta se tale inadempimento è a lui imputabile, ma anche quello di un non corretto adempimento (ed è la regola).

In questo caso, per individuare il momento in cui la provvigione è dovuta, si deve fare riferimento alle pattuizioni contrattuali intervenute fra preponente e terzo.

Se è prevista la data di consegna del bene venduto o di effettuazione della prestazione di servizi e tale data non viene rispettata, è ad essa che bisogna rifarsi in quanto esprime il momento in cui il preponente avrebbe dovuto eseguire la sua prestazione.

Tornando all’esempio formulato: la data prevista per la consegna è il 30/5; anche se il preponente non esegue puntualmente la propria obbligazione, a tale data l’agente matura il diritto alla provvigione, prima ancora, dunque della consegna del bene.

Le parti, comunque, possono stabilire in contratto che la provvigione maturerà solo nel momento in cui il contratto (nella sua interezza, cioè con riguardo ad entrambe le prestazioni corrispettive) avrà avuto esecuzione; il che si traduce anche nel“buon fine”, cioè -assolta l’obbligazione contrattuale da parte del preponente - il cliente ha provveduto ad assolvere la sua, che è quella di pagamento.

c)      Al più tardi, inderogabilmente dal momento e nella misura in cui il terzoha eseguito o avrebbe dovuto eseguire la prestazione qualora il preponente avesse eseguito la prestazione a suo carico.

Il primo caso (ha eseguito) è costituito, per l’appunto, dall’adempimento dell’obbligazione di pagamento, che potrebbe anche non essere stata “regolare” come si verifica quando il cliente paga a scadenze diverse da quelle contrattualmente pattuite.

Nel secondo caso (avrebbe dovuto eseguire) ci si deve rifare al contratto per individuare il momento nel quale era prevista l’esecuzione dell’obbligazione a carico del cliente.

Riprendiamo l’esempio già formulato: la consegna del bene venduto è prevista per il 30/5 con pagamento a 30 giorni (30/6). Il Preponente non consegna il bene alla data stabilita (30/5); il cliente non paga il 30/6. L’agente matura comunque il diritto alla provvigione il 30/6, cioè alla data in cui il cliente avrebbe dovuto effettuare il pagamento se il preponente avesse tempestivamente adempiuto la propria obbligazione.

Ancor oggi, tuttavia, le regole che abbiamo esaminato ai punti a) e b) possono essere disattese, in quanto il quarto comma dell’attuale art. 1748 c.c. esordisce con la precisazione: “salvo che sia diversamente pattuito”.

Il preponente potrà sempre dimostrare - ma si tratterà di un onere a suo carico - che non ha legittimamente eseguito la prestazione e pertanto la provvigione non è dovuta.

Si vedano, ad esempio, la sopravvenuta impossibilità di eseguire la prestazione per una causa non imputabile, la mancata prestazione delle garanzie pattuite o l’attuale insolvenza del cliente.

Qualche dubbio potrebbe sussistere al riguardo mancando una specifica previsione; ma soccorre il disposto del sesto comma dell’art. 1748 c.c. che fa obbligo all’agente di restituire le provvigioni riscosse quando sia “certo che il contratto tra il terzo e il preponente non avrà esecuzione per cause non imputabili al preponente”. Dal che è dato ricavare che, nella fattispecie, esse non sono dovute dal preponente medesimo.

 

Il diritto in caso di pagamenti parziali

Come abbiamo visto, la seconda parte del quarto comma dell’art. 1748 c.c. dispone che la provvigione spetta, al più tardi, inderogabilmente dal momento e nella misura in cui il terzo ha eseguito la prestazione.

Il problema nasce proprio dall’utilizzo della locuzione “nella misura in cui”, tenuto conto che il primo canone di interpretazione della legge è quello letterale o, come precisa l’art. 12 delle preleggi, l’attribuzione del senso fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse. Viene dunque da chiedersi: si è inteso affermare che la provvigione spetta sul corrispettivo pattuito dell’operazione commerciale (il che sembrerebbe addirittura ovvio), oppure che, anche nel caso in cui la“misura” dell’adempimento sia parziale, è comunque dovuta la provvigione rapportata alla misura stessa? In effetti misura sta anzitutto a significare il valore numerico attribuito ad una grandezza, ma anche grado, proporzione, quantità. Vi sono poi delle locuzioni particolari, ed una di esse è costituita da quella in esame.

Nel lessico italiano, con l’espressione “nella misura in cui” si intende stabilire genericamente un rapporto tra due fatti, con significato analogo a “tanto ... quanto, relativamente a, in proporzione”.

Di questa locuzione si è fatto, tuttavia, uso ed abuso, facendole perdere il suo significato originario. Essa è stata utilizzata quale intercalare nel linguaggio politico sull’esempio del francese dans la mesure où con il quale è stata tradotta dal russo l’espressione di Lenin poskol’ku.

La Direttiva Cee, che è per l’appunto scritta in francese, usa ripetutamente proprio la dizione “dans la mesure où” che è stata tradotta letteralmente nella lingua italiana.

È evidente che se la locuzione venisse intesa nel senso di un semplice rapporto proporzionale, quando l’art. 1748 c.c. fa riferimento ad un diritto alla provvigione nella misura in cui il cliente ha eseguito la sua prestazione, si potrebbe giungere a ritenere comunque spettante la retribuzione, sia pure commisurata alla somma versata dal cliente stesso,indipendentemente dunque da un’esecuzione parziale della prestazione di pagamento, cioè dall’effettivobuon fine dell’affare che si ha solo quando il terzo assolve intieramentel’obbligazione di pagamento.

L’art. 10 della Direttiva Cee si limita a richiedere l’esecuzione di una delle due prestazioni, senza riferimento alla misura in cui è stata eseguita.

Si può, anzi, affermare che tale norma fa riferimento all’integrale assolvimento dell’obbligazione da parte del terzo laddove si esprime nel senso che la provvigione spetta, al più tardi, quando il terzo ha eseguito la sua parte dell’operazione. La formulazione è tale da non giustificare l’interpretazione che vorrebbe far sorgere il diritto in occasione di un qualsiasi pagamento da parte del terzo.

Un conto, infatti, è riferirsi alla “parte dell’operazione” a carico del terzo, cioè all’obbligazione che deve essere da lui assolta, la quale, quando si tratta del cliente, è quella di (integrale) pagamento; altro è riferirsi ad un adempimento parziale che lascia incompleto l’assolvimento dell’obbligazione e, quindi, determina un parziale inadempimento.

A tutto concedere, si potrà ritenere che la dizione “nella misura in cui” può determinare l’obbligo di corrispondere la provvigione in occasione di singoli pagamenti parziali secondo le pattuizioni contrattuali (acconti, versamenti rateali); non è invece corretto, a nostro avviso, interpretare la norma nel senso che un qualsiasi parziale pagamento (costituente – come detto –inadempimento parziale) faccia sorgere il diritto alla provvigione.

Mi sembra che un argomento a conferma sia costituito dal fatto che la dizione “nella misura in cui” è riferita anche all’insorgenza del diritto nel momento nel quale il terzo“avrebbe dovuto eseguire la prestazionequalora il preponente avesse eseguito la prestazione a suo carico”.

È evidente che la prestazione del cliente è intesa quale totale soddisfacimento dell’obbligazione a suo carico.

La dottrina non si è mostrata molto attenta a questo aspetto, forse perché ha ritenuto che il problema neppure si ponga.

Baldifa un esame dell’attuale disciplina codicistica alla luce di quella tedesca e della direttiva Cee e, nel richiamare la formulazione “dal momento e nella misura in cui”, giunge alla conclusione che “è lecita una clausola contrattuale derogativa che fissa la «spettanza della provvigione», al più tardi, al momento e nella misura in cui il terzo ha eseguito o avrebbe dovuto eseguire la prestazione a suo carico qualora il preponente avesse eseguito la prestazione «a suo carico»”.

Sembra di comprendere che l’Autore consideri presupposto dell’obbligo di pagamento della provvigione l’integraleadempimento dell’obbligazione da parte del terzo.

Riassumendo conclusivamente:

        se si accetta la dizione “nella misura in cui” nel suo proprio significato lessicale, la provvigione spetta all’agente anche su versamenti parziali (acconti, rate) che siano stati pattuiti fra le parti quali modalità di pagamento, e quindi senza attendere il definitivobuon fine dell’affare;

        le parti possono però legittimamente stabilire che il diritto alla provvigione sorge soltanto con l’integrale pagamento del corrispettivo dell’operazione, cioè al“buon fine” secondo la regola precedente;

        in ogni caso non vi è diritto alla provvigione quando il terzo adempia solo parzialmente la propria obbligazione, cioè si renda parzialmente inadempiente.

 

L’esecuzione parziale degli affari

A’ sensi dell’art. 1748, quinto comma, c.c. se il preponente e il terzo si accordano per non dare, in tutto o in parte, esecuzione al contratto, l’agente ha diritto, per la parte ineseguita, ad una provvigione ridotta nella misura determinata dagli usi o, in mancanza, dal giudice secondo equità.

Nel caso in esame il contratto è stato concluso e, quindi, fanno carico ad entrambe le parti le contrapposte obbligazioni; tuttavia esse raggiungono un accordo in forza del quale il contratto stesso non sarà eseguito o lo sarà solo parzialmente.

Si supponga che siano stati acquistati 100 pezzi o capi e successivamente sopravvenga la decisione di non consegnarli o consegnarne solo 50. L’agente ha comunque diritto ad una provvigione anche sui 50 non consegnati, che ben può essere determinata dalle parti stesse senza fare ricorso agli usi o al giudice.

Non si deve confondere la fattispecie in esame con quella della mancata o parziale accettazione di una proposta di contratto che si ha quando, per esempio, l’agente trasmetta un ordine di 100 pezzi o capi ed il preponente lo accetta solo per 50. In questo caso il contratto è stato concluso solo per tale quantità e l’agente non ha diritto ad alcuna provvigione, neppure ridotta, sugli ulteriori 50.

 

Le particolarità contenute negli accordi economici

I rinnovi del 2002 non hanno portato innovazioni alla disciplina legislativa relativa al momento di maturazione della provvigione. Essi si sono semplicemente adeguati.

In quelli precedenti (A.E.C. 9.6.1988 commercio e 16.11.1988 industria) era previsto che la provvigione spettasse solo a seguito del “buon fine” dell’affare, per cui il diritto sorgeva sempre ed esclusivamente nel momento in cui il cliente soddisfaceva integralmente l’obbligazione di pagamento a suo carico.

Nei nuovi Accordi tale previsione è scomparsa. Nell’A.E.C. 26.2.2002 commercio l’art. 4, quarto comma, si limita ad un rinvio esplicito: “Le parti convengono che l’agente avrà diritto alle relative provvigioni nei tempi e nei modi fissati dall’articolo 1748 cod. civ., che si intende integralmente ed inderogabilmente richiamato” (la disposizione di legge è riprodotta in un’apposita nota).

Gli A.E.C. 26.3.2002 industria e piccola industria e 12.6.2002 artigianato, nell’articolo dedicato alle provvigioni nulla dicono in proposito, in tal modo lasciando parimenti inalterata la disciplina legislativa.

Tuttavia devono essere segnalate alcune particolarità più vantaggiose per gli agenti o utili perché sopperiscono a lacune legislative.

A)      La zona di conclusione e di esecuzione del contratto

La disciplina legislativa nulla dice per l’individuazione dell’agente che ha diritto alla provvigione quando l’affare viene promosso in una zona e concluso o eseguito nell’altra.

La giurisprudenza ha avuto occasione di affermare che non rileva il luogo in cui il contratto sia stato formalmente concluso od eseguito bensì quello in cui il contratto sia stato promosso o avrebbe potuto essere promosso, a meno che il preponente non dimostri l’inesistenza in concreto per l’agente della possibilità di promuovere la conclusione di contratti con il cliente avente la sua sede nella zona assegnata in esclusiva all’agente, per essersi il cliente spogliato della possibilità di tale conclusione avendola delegata, a causa di reali e sostanziali ragioni organizzative, a persone preposte alle articolazioni territoriali esistenti fuori zona, avvenendo nella sede dell’impresa o del cliente la mera registrazione dei contratti, altrove promossi

L’A.E.C. commercio all’art. 4 ha espressamente disposto che “quando la consegna della merce o la fornitura del servizio venga effettuata in una zona diversa da quella in cui è stato concluso l’affare, la provvigione spetta all’agente che abbia effettivamente promosso l’affare, salvo diverso accordo fra le parti”. L’A.E.C. 16.2.2009 ha precisato che tale accordo deve essere scritto.

Il principio deve intendersi applicabile anche al caso in cui sia il preponente medesimo a concludere direttamente l’affare. Si deve ritenere che, coerentemente, la provvigione spetti all’agente che si trova nella zona nella quale avrebbe potuto promuoverlo.

In termini pressoché analoghi, anche se con una formulazione diversa, si esprime l’art.6 A.E.C. industria: “Qualora la promozione e l’esecuzione di un affare interessino zone e/o clienti affidati in esclusiva ad agenti diversi, la provvigione verrà riconosciuta all’agente che abbia effettivamente promosso l’affare, salvo diversi accordi fra le parti per un’equa ripartizione della provvigione stessa”.

Non è infrequente che si stabilisca la suddivisione, non necessariamente in parti uguali, della provvigione fra l’agente della zona nella quale è stato promosso/concluso l’affare e quella della zona nella quale la merce viene spedita, cioè dove l’affare medesimo è eseguito.

B)      Affari proposti e conclusi dopo la cessazione del rapporto soprattutto per effetto dell’attività dell’agente

Abbiamo visto che la riforma ha esteso il diritto dell’agente alla provvigione – già previsto dagli accordi economici per il caso in cui l’ordine fosse pervenuto prima della risoluzione del rapporto – anche a quello della conclusione del contratto dopo la cessazione del rapporto stesso purché essa sia riconducibile soprattutto all’attività dell’agente ed avvenga entro un termine“ragionevole”.

L’A.E.C. 20.3.2002 industria-piccola industria è intervenuto opportunamente a dettare regole più precise. In particolare esso ha disposto:

        all’atto della cessazione del rapporto l’agente deve relazionare dettagliatamente sulle trattative intraprese ma non concluse per effetto dell’intervenuta risoluzione;

        se entro quattro mesi dalla cessazione alcune delle trattative segnalate va a buon fine l’agente ha diritto alle relative provvigioni;

        decorso tale termine la conclusione non è più attribuibile all’agente che pertanto non percepisce provvigioni anche se gli affari conclusi rientrano nell’elenco;

        sono fatte salve pattuizioni fra le parti, sia in ordine al termine (che viene indicato semplicemente comediverso e pertanto potrebbe essere inferiore, anche se la durata dipende dalla tipologia dei prodotti e dai tempi di norma occorrenti per la stipulazione di un contratto), sia per quanto attiene alla ripartizione fra gli agenti succedutisi nella zona ed intervenuti per la promozione e conclusione dell’affare. Quest’ultima precisazione lascia intendere che anche il“nuovo” agente deve avere avuto parte attiva nelle trattative.

L’A.E.C. 16.2.2009 commercio ha ricalcato tali disposizioni ribadendo l’obbligo di relazionare sulle trattative intraprese e portando a 6 mesi (o ad un periodo di maggior durata pattuito tra le parti) il termine perché la conclusione del contratto sia attribuibile all’agente.

C)     Il diritto alla provvigione

Gli accordi economici collettivi hanno introdotto alcune disposizioni di maggior favore per gli agenti in merito al mantenimento del diritto alla provvigione.

1)     Sconti di valuta per condizioni di pagamento

Gli accordi economici (art. 6 commercio, art. 4 industria), pur demandando il conteggio della provvigione ad accordi stabiliti fra le parti, precisano che “in ogni casonon potranno essere dedotti dall’importi a cui è ragguagliata la provvigione gli sconti di valuta per condizioni di pagamento”.

Si ipotizzi che il preponente conceda uno sconto ove il pagamento venga effettuato alla consegna o a 30 giorni dalla stessa. In tal caso la provvigione deve essere computata sul corrispettivo “pieno”.

Esempio: affare 1000; sconto per condizioni di pagamento 3%; somma incassata dal preponente 970. La provvigione va calcolata su 1000 e non su 970.

Diverso sarebbe ove lo sconto (eventualmente anche progressivo) fosse concesso in relazione alla quantità di prodotti acquistati. Riprendendo l’esempio formulato, l’agente avrebbe diritto alla provvigione su 970 e non su 1000.

2)     Perdita inferiore alla provvigione

L’esperienza ha insegnato che vi sono casi nei quali il preponente ricava un vantaggio dal (parziale) mancato buon fine dell’affare. Infatti, non dovendo corrispondere la provvigione, egli incassa una somma superiore rispetto a quella che avrebbe percepito se tale provvigione avesse pagato.

Gli A.E.C. (art. 6 commercio, art. 4 industria), hanno apportato un correttivo tendente a salvaguardare almeno parte del compenso all’agente, disponendo che “in qualsiasi caso di insolvenza parziale del compratore, qualora la perdita subita dalla ditta sia inferiore all’importo della provvigione sulla quota soluta, la ditta verserà all’agente o rappresentante la differenza”.

Un esempio renderà più comprensibile il meccanismo. Si ipotizzi un affare di 1000 euro con provvigione del 30%. Il computo da effettuare è il seguente: 1000 euro + 200 di iva = 1.200; somma incassata 1000 euro, perdita 200 euro. Il preponente imputa 200 euro ad iva ed 800 euro a capitale. Su quest’ultima somma viene calcolata la provvigione del 30%, pari ad euro 240. Poiché la perdita è stata di 200 euro, all’agente spetta comunque la differenza pari a 40 euro.

Il correttivo non si rivela ancora perfetto, perché rimane pur sempre un vantaggio per il preponente il quale, se l’affare fosse andato a buon fine, avrebbe incassato 1.200 euro – 300 di provvigioni cioè 900 euro mentre, in forza della disposizione contrattualcollettiva, incassa 1000 – 40 = 960, una somma pur sempre superiore a quella che gli sarebbe rimasta ove l’affare fosse andato a buon fine.

3)     Perdita inferiore al “venduto”

Il caso sopra ipotizzato non si concretizza quando la perdita della ditta sia inferiore al15%. Infatti le stesse disposizioni contrattualcollettive sopra richiamate stabiliscono che “tuttavia, qualora l’insolvenza parziale del compratore sia inferiore al 15% del valore del venduto, l’agente o rappresentante avrà diritto alla provvigione sulla quota soluta”.

L’infelice riferimento al “venduto” lascia il dubbio se si debba prendere a base del computo il solo corrispettivo dell’operazione commerciale o l’importo complessivo della fattura.

Anche in questo caso si rende opportuno un esempio: “venduto” 1000; incassato 860; perdita 140, inferiore al 15%. L’agente ha diritto alla provvigione su 860.

4)     Consegne ripartite

Nel caso in cui la esecuzione dell’affare si effettui su accordo fra fornitore ed acquirente per consegne ripartite, la provvigione sarà corrisposta sugli importi delle singole consegne.

Questa disposizione risente della previsione antecedente alla riforma del 1999 che riconosceva la provvigione solo quando l’intero affare aveva avuto regolare esecuzione o era andato a buonfine.

Secondo la regola dettata attualmente dall’art. 1748 c.c. la provvigione spetterebbe comunque con riferimento al momento dell’esecuzione. In ogni caso, anche se il contratto inter partes la riconosce solo al buon fine, il preponente dovrà anticiparla in relazione ad ogni singola consegna. Si ipotizzi la vendita di 12.000 pezzi con consegna di 1000 pezzi al mese e relativo pagamento. L’agente ha diritto alla provvigione sul corrispettivo di ogni singola consegna.

Gli accordi fanno salve le disposizioni che disciplinano la perdita inferiore alla provvigione o comunque al 15% del venduto; il che significa che si dovrà verificare, ad esecuzione completata, se è stato versato l’intero corrispettivo della vendita al fine del riconoscimento definitivo della provvigione.

5)     L’accettazione o il rifiuto degli ordini

Come abbiamo avuto modo di evidenziare ripetutamente, l’obbligazione fondamentale dell’agente è costituita dalla promozione della conclusione di contratti in favore del preponente.

Tale promozione si concretizza nell’invio di proposte di contratto, comunemente individuate come“ordini”, “proposte d’ordine”, “commissioni”.

Ovviamente, trattandosi di proposte, per tradursi in contratti esse debbono essere accettate dal preponente. L’accettazione può avvenire: o con un’esplicita comunicazione inviata al cliente-proponente, nel qual caso il contratto si ha per concluso nel momento in cui il cliente medesimo riceve tale comunicazione (art. 1326, primo comma, c.c.); oppure attraverso l’esecuzione del contratto come proposto, il che è piuttosto usuale.

Da questa premessa appare evidente che ci occupiamo degli ordini trasmessi dall’agente tout court, cioè senza rappresentanza, in quanto quello con rappresentanza orappresentante non si limita a proporre la stipulazione di un contratto, ma lo stipula direttamente e pertanto siamo in presenza di una situazione giuridica diversa da quella in esame.

Va altresì precisato che, se l’agente ha l’obbligo di trasmettere ordini, il preponente ha, a sua volta, quello di accettarli, seppure nei limiti in cui ciò si prospetti possibile ed utile. Un costante rifiuto ingiustificato, infatti, può essere fonte di danno con diritto al risarcimento in favore dell’agente.

Con gli A.E.C. 24 giugno 1981 (commercio) e 21 marzo 1984 (artigianato) è stato per la prima volta stabilito che, ai soli fini del diritto alle provvigioni, le proposte d’ordine non confermate per iscritto dal preponente entro sessanta giorni dalla data di ricevimento si hanno ugualmente per accettate. In luogo della conferma il preponente medesimo può, sempre entro il termine di sessanta giorni, comunicare per iscritto all’agente il rigetto dell’ordine ovvero la necessità di una proroga.

Con i rinnovi 16.11.1988 e 25.11.1989 i settori industria e piccola industria hanno a loro volta introdotto una disposizione analoga anche se non identica. È stata infatti concessa alle parti la facoltà di stabilire un diverso termine per l’accettazione o il rifiuto delle proposte d’ordine trasmesse dall’agente. In assenza di una disposizione specifica nel contratto individuale, però, le proposte si intendono accettate, sempre ai soli fini del diritto alla provvigione, se non rifiutate entro sessanta giorni dalla data di ricevimento delle proposte stesse.

Gli accordi economici 26/2/2002 e 20/3/2002 hanno sostanzialmente confermato la formulazione precedente, salvo fare riferimento all’accettazione o al rifiuto totale o parziale delle proposte contrattuali trasmesse. L’accordo 16.2.2009 commercio ha ulteriormente precisato che la mancata conferma fa presumere l’accettazione “per intero”.

Sulla disciplina contrattualcollettiva si impongono alcune considerazioni.

Per quanto riguarda il termine per l’accettazione, abbiamo avuto occasione di esprimere l’opinione che esso non sia inderogabile e possa essere indicato in misura diversa, anche sensibilmente, dai 60 giorni e comunque possa venire differenziato a seconda dell’ordine (per esempio: pronta consegna, prenotazioni, confezioni natalizie), cioè tenendo conto dell’organizzazione di vendita e della peculiarità del singolo mercato in cui opera.

Il problema relativo alla pattuizione di un termine superiore per l’accettazione degli ordini è stato esplicitamente affrontato dalle parti stipulanti l’A.E.C. del settore industriale, le quali già con verbale di riunione 30/1/1990, avevano ulteriormente precisato che “tale termine potrà essere congruamente individuato in relazione alle specifiche esigenze settoriali e/o aziendali”.

In quanto alla decorrenza del termine è da ritenere che essa possa essere condizionata al corretto adempimento degli obblighi posti a carico dell’agente nella raccolta dell’ordine.

La formulazione delle disposizioni contrattualcollettive non è delle più felici.

L’art.4 A.E.C. commercio presume l’accettazione delle proposte “non confermate per iscritto dal preponente”, mentre sarebbe stato più logico prevedere che il riferimento fosse a quelle non rifiutate. Inoltre l’avere posto come condizione anche la forma scritta pone problemi relativi alle conseguenze nel caso la conferma sia orale, come vedremo successivamente.

L’art.5 A.E.C. industria ha, invece, privilegiato le pattuizioni individuali alle quali demanda la previsione di un termine per l’accettazione o il rifiuto, senza nulla dire, però, in merito alle conseguenze del mancato rispetto del termine stabilito.

Dal canto suo la disposizione contrattualcollettiva opera solo in mancanza di tali pattuizioni, con la presunzione di accettazione, ai fini della provvigione, in caso di mancato rifiuto entro sessanta giorni.

È comunque da ritenere che le parti collettive, anche se non l’hanno detto esplicitamente, volessero le stesse conseguenze quando la clausola sia contenuta nel contratto inter partes.

Si pone altresì il problema relativo alla possibilità di invertire le previsioni comunemente utilizzate, cioè di stabilire che gli ordini si intenderanno rifiutati se non accettati entro il termine convenuto. Ovviamente in questo caso l’agente, se non potrebbe pretendere alcunché in merito agli ordini che non vengano accettati, manterrebbe tuttavia il diritto alla provvigione per quelli che, pur tacitamente (meglio: presuntivamente) rifiutati, venissero evasi successivamente alla scadenza del termine pattuito contrattualmente.

A nostro avviso una clausola del tenore ora indicato non si pone in contrasto con alcuna norma inderogabile.

Non si deve, tuttavia, perdere di vista la premessa secondo la quale il preponente ha l’obbligo di accettare gli ordini che gli vengono trasmessi ove siano convenienti e non sussistano impedimenti oggettivi. La clausola in esame, insomma, non deve tradursi in un mero arbitrio del preponente o in un rifiuto sistematico.

Per completezza di trattazione dell’argomento anticipiamo in questa sede quanto andrebbe detto a proposito degli obblighi e diritti delle parti.

In materia è intervenuto, con una specifica (ma non completa) disposizione, il D.Lgs. n. 303/1991, il quale ha apportato una modifica all’art. 1748 c.c. imponendo al preponente di avvertire l’agente, entro un termine ragionevole, dell’accettazione o del rifiuto e della mancata esecuzione di un affare procuratogli (corrisponde al terzo comma dell’art. 4 della Direttiva Cee, la quale si è anche espressa per l’inderogabilità della norma). Il D.Lgs. n. 65/1999 pur collocando tale disposizione nell’art. 1749 c.c. (obblighi del preponente) l’ha mantenuta inalterata.

Come abbiamo visto, la disciplina legislativa era stata preceduta da quella della contrattazione collettiva la quale si rivela utile al fine di dare determinazione alla sempre insidiosa indicazione di un termine“ragionevole”.

La circostanza che tutti gli A.E.C. indichino 60 giorni può costituire un punto di riferimento, pur non potendosi generalizzare tale termine per le ragioni in precedenza esposte, cosicchè le parti potranno stabilire termini differenziati e superiori.

Rimane da esaminare quali conseguenze derivino da un comportamento inadempiente del preponente e, in particolare, dalla mancata tempestiva comunicazione all’agente del rifiuto dell’ordine trasmessogli in presenza di una disposizione contrattuale che attribuisca al silenzio valore di accettazione.

Gli A.E.C. precisano che la presunzione di accettazione vale ai fini del diritto alla provvigione, per l’esattezza solo a tali fini, non potendo ovviamente produrre effetto alcuno fra preponente e cliente.

Ciò sta a significare che l’agente ha diritto a percepire il compenso in relazione all’ordine trasmesso anche se l’affare non viene concluso.

Ne deriva che, a fronte della presunta accettazione, si presume altresì la conclusione del contratto e la sua mancata esecuzione, per un fatto imputabile al preponente, con conseguente diritto alla provvigione ex art. 1748, penultimo comma, c.c.

In effetti siamo in presenza di un emolumento che ha più natura risarcitoria che retributiva in quanto il diritto alla provvigione non si concretizza (solo) con l’attività svolta per la promozione dell’affare, ma (anche) con l’esecuzione o il buon fine dell’affare stesso.

Quest’ultima puntualizzazione induce a ritenere che la fattispecie riguardi esclusivamente il caso in cui il contratto non venga effettivamente stipulato.

La formulazione delle disposizioni cui abbiamo fatto riferimento potrebbe infatti fare ritenere che dal solo silenzio del preponente, o addirittura da un’accettazione avvenuta in forma diversa da quella scritta (vedasi l’A.E.C. commercio), o per iscritto ma oltre il termine, nasca il diritto alla provvigione, cosicché quest’ultima spetterebbe anche nel caso in cui il contratto, in effetti stipulato ed eseguito dal preponente, non sia andato a buonfine e quest’ultimo sia stato previsto come il momento di maturazione della provvigione.

In tal caso le conseguenze per il preponente sarebbero eccessivamente, ed ingiustificatamente, penalizzanti

A confortare la nostra interpretazione è intervenuta la Cassazionela quale ha affermato che “le disposizioni degli accordi economici collettivi le quali prevedono che gli ordini non rifiutati entro un certo termine si intendono accettati dal preponente ai fini del diritto alla provvigione esonerano l’agente dalla prova della conclusione del contratto, ma non fanno venir meno la regola generale stabilita dal codice civile secondo la quale, ove il contratto non sia adempiuto, l’agente ha diritto alla provvigione se tale inadempimento sia addebitabile al preponente medesimo per colpa o dolo, non ravvisabile quando esso sia giustificato dall’insolvenza del cliente”.

Certo è che, ove il rapporto non sia regolato dalla disciplina collettiva, le parti del contratto individuale mantengono una certa libertà, sia in ordine al significato da attribuire al silenzio come già si è detto, sia per quanto attiene alle conseguenze risarcitorie che non necessariamente devono coincidere con l’ammontare della provvigione “teorica”

La giurisprudenza ha avuto occasione di prendere in esame la disposizione dell’A.E.C. 24/6/1981 commercio anche sotto il profilo dell’obbligo di informazione, e la questione è giunta all’esame della suprema Corte che si è così espressa in adesione all’interpretazione data dal giudice di merito: “Dal complesso delle suindicate pattuizioni il giudice del merito ha desunto che le parti contraenti avevano inteso istituire ‘un silenzio-assenso a tutela dell’attività dell’agente’, al fine di impedire che il preponente potesse sottrarsi all’obbligo di pagare le provvigioni allegando ‘la successiva ed immotivata non accettazione dell’ordine’; e sulla base di tali considerazioni, che evidenziano il risultato dell’indagine in ordine alla comune intenzione delle parti, lo stesso giudice è giunto alla conclusione che spettavano all’agente le provvigioni per gli affari da lui proposti, per i quali non erano state osservate dal preponente le prescrizioni degli ultimi due commi dell’art. 4 del menzionato accordo collettivo, ritenuto applicabile alla fattispecie”.

Va detto infine che, anche prima ed indipendentemente dalla disciplina che abbiamo esaminato, la giurisprudenza ha affermato la responsabilità del preponente in caso di suo sistematico rifiuto di dar corso alle proposte dell’agente, rifiuto che – se non dà diritto alla provvigione – è tuttavia fonte di risarcimento del danno e può legittimare la risoluzione del contratto

In particolare è stato precisato che “deve escludersi in linea di principio che nel rapporto di agenzia il preponente sia obbligato a concludere e ad eseguire tutti i contratti proposti dall’agente, e addirittura ad iniziare le trattative in relazione ad un affare che ab initio si presenti non conveniente, perché ciò comporterebbe una eccessiva ed inammissibile limitazione della iniziativa economica e della libertà di organizzazione e gestione dell’impresa da parte del preponente. Ed invero, sia alla stregua della disciplina legale del contratto di agenzia che di quella collettiva in vigore all’epoca della esecuzione del rapporto de quo, all’agente spettano le provvigioni solo sugli affari accettati dal preponente ed andati a buon fine nonché su quelli conclusi ma non eseguiti per cause imputabili allo stesso”; ed è stato ribadito che “secondo l’insegnamento della giurisprudenza, il diritto al risarcimento del danno, in misura corrispondente alle provvigioni perdute, può derivare non già dalla mancata (e non pretestuosa) accettazione di singole proposte, ma dal sistematico ed ingiustificato rifiuto, da parte del preponente, degli affari promossi dall’agente”.

6)     La mancata contestazione dell’estratto conto

L’art. 1749, secondo comma, c.c. fa obbligo al preponente di consegnare all’agente un estratto conto delle provvigioni dovute al più tardi l’ultimo giorno del mese successivo al trimestre nel corso del quale sono maturate. L’estratto conto indica gli estremi essenziali in base ai quali è stato effettuato il calcolo delle provvigioni”.

L’A.E.C. 26.2.2002 del settore commercio, all’art. 6, secondo comma, ha ulteriormente precisato che “qualora l’agente o rappresentante non sollevi contestazioni entro trenta giorni dal ricevimento del conto, questo si intenderà definitivamente approvato”.

Tale disposizione tiene evidentemente conto della natura di conto corrente del rapporto che intercorre fra ditta preponente ed agente. Tuttavia l’approvazione può intendersi come tacitamente avvenuta solo nel caso in cui l’agente possa ricavare dalle poste risultanti dall’estratto conto il mancato riconoscimento del suo diritto a percepire le provvigioni nella corretta misura, come è nel caso dell’accredito della provvigione in misura inferiore a quella pattuita. È da escludersi invece ove si tratti di provvigioni non esposte per affari conclusi direttamente dal preponente ad insaputa dell’agente.

La giurisprudenza, in mancanza di una specifica disposizione collettiva o individuale, ha ritenuto inapplicabile al contratto di agenzia l’art. 1832 c.c., il quale stabilisce che l’estratto conto trasmesso da un correntista all’altro s’intende approvato se non contestato nel termine pattuito; il che non impedisce l’impugnazione del conto, a pena di decadenza entro sei mesi, per errori, omissioni, duplicazioni.

Con specifico riferimento alla clausola dell’accordo economico in esame ha altresì affermato che la tacita approvazione dei conti trimestrali da parte dell’agente non può che riguardare le operazioni contabilizzate nei singoli prospetti inviati dal preponente e il relativo quantum, ma non vale come rinuncia ad eventuali crediti per affari non compresi nei conti approvati

Nel caso in cui la clausola operi, la mancata tempestiva impugnazione determina decadenza e, conseguentemente, l’improponibilità della domanda e dell’azione.

Con il rinnovo del 16.2.2009 l’approvazione tacita dell’estratto conto è stata soppressa anche nel settore commercio.

 

L’attività d’incasso

L’art. 1744 c.c. non facoltizza l’agente a riscuotere i crediti del preponente; il che non toglie che uno specifico incarico passa essergli conferito.

La materia è stata disciplinata diversamente dalla contrattazione collettiva.

A)     Settore industria e piccola industria

A’ sensi dell’art. 6 A.E.C. 20 marzo 2002 determina il diritto ad un compenso“l’incarico continuativo di riscuotere per conto della casa”.

Tale incarico, oltre ad essere continuativo, deve prevedere la “responsabilità dell’agente per errore contabile”; non sussiste il diritto ad un compenso per chi “svolga presso i clienti della zona la sola attività di recupero somme per le quali dai clienti medesimi non siano state rispettate le scadenze di pagamento.

Non è mai stato chiarito, però, come si computi il compenso quando l’agente riscuota sia pagamenti correnti che insoluti: su tutte le somme o solo su quelle non riferite ad insoluti?

Quest’ultima soluzione sembrerebbe più rispondente alla ragione iniziale dell’esclusione (condizione esclusiva per il buonfine dell’affare e, quindi, per il diritto alla provvigione e venir meno dello star del credere, poi soppresso), ma la formulazione letterale della disposizione in esame non la conforta.

Per attività“continuativa” deve intendersi, a nostro avviso, non quella che comporta un volume di lavoro di una certa entità, ma quella che si reitera costantemente.

In sostanza, può escludersi il requisito della continuità quando l’agente si limiti ad effettuare incassi su indicazioni specifiche, dettate di volta in volta e saltuariamente dal preponente.

La provvigione d’incasso deve essere stabilita separatamente e riguarda soltanto gli“affari per i quali sussista l’obbligo della riscossione”; di norma, per ragioni contabili, si preferisce indicare, quale base di computo, lo stesso fatturato sul qual viene calcolato il compenso provvigionale. In tal caso si opera una condizione di miglior favore nei confronti dell’agente e pertanto la diversa modalità di determinazione del compenso deve ritenersi legittima.

Secondo parte della dottrina nulla vieta che il compenso dell’agente per l’attività d’incasso sia pattuito cumulativamente a quello relativo alla promozione degli affari nonostante la disciplina contrattualcollettiva.

A proposito della previsione di una provvigione separata contenuta nell’A.E.C. 1979 e in quello successivo, è stato precisato: “Ci sembra ovvio che questa clausola, poggiando su di un patto contrario ad una norma derogabile, qual è l’art. 1744, sia a sua volta derogabile: nulla vieta che, pur incaricandosi l’agente di effettuare riscossioni, le parti escludano ogni compenso ad hoc per tale attività, limitandosi a tenerne conto in sede di determinazione della provvigione vera e propria”

Di questo avviso sembrava essere anche la Cassazione che nelle varie pronunce inizialmente richiamate ha dato rilevanza all’introduzione dell’incarico di riscuotere contenuto nel contratto stipulato dalle parti, al fine di escludere il diritto ad un ulteriore compenso nonostante la disposizione contrattualcollettiva. La quale, dunque, non appariva affatto inderogabile.

Senonché, affrontando in modo specifico il problema la stessa Cassazione, si è espressa in senso contrario ed ha ritenuto che, in presenza delle condizioni previste dalla contrattazione collettiva, l’attività d’incasso deve essere remunerata con una provvigione separata, non essendo tale disciplina derogabile da parte del contratto individuale

Rimane infine sempre ardua la determinazione della percentuale della provvigione d’incasso. Essa varia da zona a zona ed anche nelle pronunce dei giudici di merito non è dato riscontrare un criterio uniforme di determinazione. In alcuni casi ci si trova in presenza di quantificazioni che portano l’agente a percepire, per un’attività accessoria e che torna anche a suo vantaggio, un compenso che si avvicina – e, a volte, raggiunge o supera – quello spettante per la fondamentale attività promozionale.

L’art.6 A.E.C. non richiede una particolare forma della pattuizione; ma che essa debba esserescritta lo si può ricavare dall’art. 3 che fa obbligo di precisare per iscritto in un unico documento, fra l’altro, “la misura delle provvigioni e compensi”.

B)     Settore commercio

Nel rinnovare l’accordo economico nel 2002, le parti contrattuali collettive hanno combinato un pasticcio.

Infatti l’art. 3, quinto comma, dell’A.E.C. 26/2/2002 ha ricalcato la formulazione contenuta nell’art. 3, 3° e 4° comma, A.E.C. 9/6/1988 il quale disponeva: “L’agente o rappresentante non ha facoltà di riscuotere per la ditta né di concedere sconti o dilazioni, salvo diverso accordo scritto. Qualora gli venga conferito l’incarico continuativo di riscuotere per conto della casa mandante, quest’ultima stabilirà separatamente dalle competenze a provvigione di incasso. L’obbligo di stabilire la provvigione di cui trattasi non sussiste per il caso in cui l’agente o rappresentante svolga la sola attività di recupero degli insoluti”.

Come si vede, la disposizione di questo settore si differenzia da quella dell’industria in quanto non è previsto anche il requisito della “responsabilità dell’agente per errore contabile”. Inoltre non viene fatto riferimento limitativo “agli affari per i quali sussista l’obbligo della riscossione”, anche se tale limitazione debba ritenersi sussistente.

L’A.E.C. 16.2.2009 ha rimediato alle incongruenze sopra evidenziate disponendo che il compenso aggiuntivo spetta quando l’incarico sia continuativo e vi sia responsabilità dell’agente per errore contabile; mentre l’obbligo di tale compenso viene meno nel caso in cui sia svolta la sola attività di recupero degli insoluti (art. 4, commi 11 e 12).

Per quanto riguarda la forma della pattuizione, che essa debba essere scritta lo si può ricavare anche in questo caso dall’art. 3 dell’A.E.C. che parimenti richiede che siano indicati per iscritto, fra l’altro, “la misura delle provvigioni e compensi”.

Secondo la Cassazione, invece, tale forma non è richiesta perché l’art. 1744 c.c. non prevede una forma particolare per la concessine della facoltà di riscossione, ma stabilisce soltanto che ove la stessa sia stata attribuita all’agente “egli non può concedere sconti o dilazioni senza speciale autorizzazione; mentre la disciplina collettiva testualmente recita: “l’agente o rappresentante non ha facoltà di riscuotere per la ditta, né di concedere sconti o dilazioni, salvo diverso accordo scritto. Le due frasi – osserva ulteriormente la Suprema Corte – sono staccate da idonea punteggiatura che separa nettamente “la facoltà di riscuotere per la ditta” dalla concessione di “sconti e dilazioni”, per cui da un punto di vista lessicale la norma convenzionale prevede l’accordo scritto con specifico riferimento soltanto agli “sconti e dilazioni” e non anche alla “facoltà di riscuotere”

Senonchè nell’art. 4, settimo comma, dello stesso accordo economico è contenuta una diversa disciplina: all’incarico continuativo, si aggiunge la responsabilità per errore contabile; inoltre, è richiesto che sia stabilito uno specifico compenso aggiuntivoin forma non provvigionale.

Quest’ultima dizione è infelice e non rende chiaramente la volontà delle parti collettive stipulanti. Essa finisce con l’indicare un compenso non rapportato agli incassi, tenuto conto che la provvigione è normalmente costituita da una percentuale che dà modo di proporzionare il compenso alla somma incassata. Si dovrebbe invece ipotizzare una remunerazione in misura fissa, eventualmente riferita ai singoli incassi (per esempio: un importo predeterminato per ciascun incasso, con variabilità in relazione a scaglioni di importo).

Il diritto alla provvigione d’incasso sorge solo se è stato conferiti l’incarico (a nostro avviso per iscritto) e sussistano gli altri requisiti richiesti (continuità, responsabilità quando prevista). Se manca l’autorizzazione/incarico l’agente può solo proporre espressamente l’azione generale di arricchimento ex art. 2041 c.c. con rigoroso obbligo di provare l’arricchimento del preponente

Ad avviso della Cassazione dal momento che la disciplina collettiva, mentre regola l’ipotesi dell’incarico affidato all’agente per l’incasso, esclude d’altro canto il diritto al compenso quando la relativa prestazione non costituisca oggetto di un obbligo assunto pattiziamente, lo svolgimento di fatto di compiti d’incasso non comporta di per sé l’attribuzione di specifico compenso essendo riferibile ad un’attività svolta dall’agente nel proprio interesse.

A proposito del concetto di “riscossione”, di “incasso” – primo presupposto necessario per il diritto al relativo compenso – merita di essere segnalata una sentenza del Tribunale di Milano:“L’attività dell’agente si esauriva nel ricevimento di assegni che dovevano essere consegnati agli intestatari, così come altri documenti non meno importanti ed essenziali per la nascita del rapporto (il contratto firmato dal cliente, ad esempio). La responsabilità per la perdita o l’inoltro ritardato di tutti i documenti di cui l’agente è in possesso per motivi di lavoro è connessa all’attività tipica dell’agente; come tale non è da compensare a parte e non è da confondere con la responsabilità dell’agente che, maneggiando danaro, possa incorrere in errori finanziari o contabili.

L’attività di incasso o riscossione, cui fanno riferimento la legge e l’accordo collettivo, non consiste solo nel riscuotere danaro contante, ma in generale nell’incassare gli ordinari mezzi di pagamento, e di conseguenza nel custodire le somme e tenerne la contabilità; si presuppone comunque da parte del lavoratore la materiale disponibilità del danaro incassato per conto della mandate. Significativamente i compensi per tale attività sono denominati “indennità di incasso” o “indennità maneggio danaro” espressioni che indicano il contatto con il danaro e il controllo dello stesso, contatto e controllo assenti nel caso in cui vengano semplicemente trasmessi i documenti attestanti il pagamento”.

Rimane infine sempre ardua la determinazione della percentuale della provvigione d’incasso. Essa varia da zona a zona ed anche nelle pronunce dei giudici di merito non è dato riscontrare un criterio uniforme di determinazione. In alcuni casi ci si trova in presenza di quantificazioni che portano l’agente a percepire, per l’attività accessoria e che torna anche a suo vantaggio, un compenso che si avvicina – e, a volte, raggiunge o supera – quello spettante per la fondamentale attività promozionale.