La provvigione: casi particolari

La provvigione

Benché sia  possibile remunerare l’agente in forme diverse, la remunerazione normale è la provvigione.  Pertanto, rimborsi spese, compensi per attività accessorie, se  proporzionali al valore dell’affare, vengono considerati retribuzioni  provvigionali. Infatti, il principio generale prevede che, salvo patto  contrario, l’agente non abbia diritto al rimborso delle spese di agenzia.  Pertanto, le spese sostenute per l’esercizio dell’attività, sono a carico  dell’agente e sono coperte dalla provvigione. Tuttavia, le parti possono  prevedere nel contratto il rimborso di determinate spese

La provvigione  matura solo se gli affari proposti dall’agente vengono accettati dal preponente,  con la conclusione di un contratto con il cliente. Tuttavia, l’agente non ha  diritto alla provvigione se il contratto con il cliente non viene eseguito per  cause non imputabili al preponente. Pertanto, la conclusione del contratto non  fa sorgere il diritto alla provvigione ma ne costituisce un presupposto  necessario. Inoltre, perché nasca il diritto alla provvigione, vi deve essere un  nesso tra l’attività dell’agente e la conclusione dell’affare. In proposito, per  gli agenti non esclusivi, si  distingue tra affari promossi direttamente dall’agente, affari conclusi dal  preponente senza l’intervento dell’agente, con clienti già acquisiti dall’agente  ovvero con clienti della zona o riservati all’agente. Nel primo caso, l’agente  ha diritto alla provvigione su tutti gli affari conclusi durante il rapporto,  quando l’operazione sia stata conclusa per effetto del suo intervento. Se  l’attività dell’agente porta alla conclusione di affari fuori dalla zona oggetto  del contratto, il diritto alla provvigione non è riconosciuto. Le parti,  tuttavia, possono convenire in seguito, anche tacitamente, di far rientrare  l’affare concluso nell’alveo del contratto.

 

La provvigione  per affari conclusi dal preponente

La provvigione,  inoltre, secondo l’art. 1748 comma  2 c.c., è dovuta anche per gli affari conclusi dal preponente con  clienti già acquisiti dall’agente per affari dello stesso tipo o appartenenti  alla zona o alla categoria o al  gruppo di clienti riservati all’agente. La norma riconosce  all’agente il diritto alla provvigione anche in assenza di un intervento  diretto, ma al contempo ne limita la portata. Per esempio, il  contratto concluso tra il preponente e un cliente già acquisito dall’agente per  affari di tipo diverso da quelli previsti nel contratto, non fa sorgere il  diritto alla provvigione in quanto la norma in parola prevede che gli affari  debbano essere dello stesso tipo

Diversa,  invece, è la situazione in cui la promozione e l’esecuzione di un affare  interessino zone o clienti affidati in esclusiva ad agenti diversi

 

La provvigione  per affari conclusi dopo la cessazione del  contratto

L’agente  ha diritto alla provvigione sugli affari conclusi dopo la cessazione del  contratto se la proposta è pervenuta al preponente o all’agente in data  antecedente ovvero se gli affari sono conclusi entro un tempo ragionevole dalla  data della cessazione del contratto e la conclusione è da ricondurre  prevalentemente all’attività dell’agente. In quest’ultimo caso, la provvigione è  dovuta all’agente precedente, salvo che da specifiche circostanze, risulti equo  ripartire la provvigione tra gli agenti intervenuti. La norma in parola risolve  l’eventuale conflitto tra agente precedente e agente successivo e non comporta  alcun onere per il preponente. Nel caso di affari basati su  contratti di durata (somministrazione, fornitura ecc.), in cui le  provvigioni sono ripartite su tutte le forniture effettuate nell’ambito dello  stesso affare, è preferibile definire contrattualmente i criteri per  l’assegnazione delle provvigioni

 

Maturazione della provvigione

L’art. 1748 comma 4 c.c. stabilisce che, salvo  patto contrario, la provvigione spetta all’agente dal momento e nella misura in  cui il preponente ha eseguito o avrebbe dovuto eseguire la prestazione, in base  al contratto concluso con il terzo. Al più tardi ma inderogabilmente, la  provvigione spetta all’agente dal momento e nella misura in cui il cliente ha  eseguito o avrebbe dovuto eseguire la prestazione, qualora il preponente avesse  eseguito la prestazione a suo carico. Secondo il criterio generale, quindi, il  diritto dell’agente matura al momento in cui il preponete esegue la propria  prestazione o avrebbe dovuto eseguirla in virtù del contratto con il cliente. La  provvigione, pertanto, sarà dovuta anche in caso di inadempimento del  preponente, ma non in caso, per esempio, di forza maggiore ovvero di eccezione  di inadempimento. In caso di adempimento parziale, se il contratto ne prevede la  possibilità, la provvigione spetta sulla parte eseguita. In caso contrario, se  l’adempimento parziale del preponente non è conforme al contratto e viene  considerato inadempimento, l’agente maturerà ugualmente e per intero il diritto  alla provvigione.

 

Provvigioni e  clausola “salvo buon  fine”

Le parti  possono derogare al criterio generale e stabilire che la provvigione maturi al  momento in cui il cliente esegue o avrebbe dovuto eseguire la sua prestazione.  La deroga in esame viene comunemente definita “clausola salvo buon fine”. In questo frangente, nel caso in cui il  preponente abbia regolarmente adempiuto ma il cliente non paghi, il diritto alla  provvigione per l’agente non matura. Per contro, nel caso in cui il cliente non  esegua la prestazione a causa dell’inadempimento del preponente, il diritto alla  provvigione per l’agente matura, sempre che l’inadempimento del preponente non  sia riconducibile, per esempio, a forza maggiore ovvero eccezione di  inadempimento. Nel caso di adempimento parziale del cliente, se il contratto ne  prevede la possibilità, la provvigione spetta sulla parte eseguita. In caso  contrario, se l’adempimento parziale non è conforme al contratto e viene  considerato inadempimento, la provvigione non maturerà, nemmeno in parte.

 

Restituzione  delle provvigioni

L’art. 1748 comma c.c. prevede che l’agente sia  tenuto a restituire le provvigioni riscosse solo nell’ipotesi e nella misura in  cui sia certo che il contratto tra il cliente e il preponente non avrà  esecuzione per cause non imputabili al preponente. La norma in parola si applica  all’ipotesi in cui il pagamento della provvigione debba avvenire prima del  momento in cui è possibile verificare se il terzo abbia eseguito, per esempio,  quando le parti hanno stabilito che il diritto alla provvigione matura con la  conclusione del contratto. Affinché la provvigione non debba essere restituita,  la mancata esecuzione deve essere riconducibile a una causa imputabile al  preponente, ossia un comportamento doloso o colposo del preponente che abbia  determinato la mancata esecuzione del contratto. La prova dell’imputabilità al  preponente deve essere fornita  dall’agente

Se il  preponente e il cliente si accordano per non dare, in tutto o in parte,  esecuzione al contratto, l’agente ha diritto, per la parte non eseguita, a una  provvigione ridotta, secondo gli usi o, in mancanza, dal giudice secondo equità.  La norma in parola è dettata per il caso in cui la mancata esecuzione non  imputabile al preponente sia dovuta a motivi commerciali. Pertanto, per esempio,  qualora il preponente non possa eseguire per motivi di forza maggiore e si  accordi con il cliente per una fornitura diversa da quella prevista, l’agente  non avrà diritto alla provvigione sulla parte di contratto non  eseguita.

 

Calcolo della  provvigione

I criteri per  il calcolo della provvigione sono lasciati alla negoziazione delle parti.  Infatti, non esiste alcuna norma, nemmeno collettiva, che stabilisca minimi  provvigionali inderogabili ovvero sistemi di calcolo obbligatori. Anche la  determinazione della base su cui calcolare la provvigione ha natura pattizia. Nella prassi vi sono vari metodi di calcolo della provvigione,  idealmente distinti in sistemi a percentuale e sistemi a cifra fissa. I primi  sono i più diffusi, soprattutto per la maggiore flessibilità delle percentuali  rispetto ai mutamenti del mercato, alle variazioni dei prezzi e all’inflazione.  Di seguito si fornisce una sintetica analisi dei sistemi maggiormente  utilizzati.

1. Percentuale  fissa

La percentuale  fissa è calcolata sul valore degli affari la cui conclusione è procurata  dall’agente. La percentuale fissa può essere applicata anche a singoli articoli  o singoli clienti. Le aliquote cambiano in base ai settori (industria,  commercio, ecc), alle zone, alle tipologie merceologiche, agli usi locali ecc. e  variano dallo 0,5% al 30% e oltre.

 

2. Percentuale  crescente

L’aliquota  varia a seconda del valore dell’affare concluso. Per esempio, si prevedono  aliquote maggiori per vendite che superano un determinato valore. L’aliquota può  variare anche in funzione di determinati clienti ovvero del valore degli affari  raggiunto in corso d’anno.

In questo modo,  l’agente riceve una retribuzione più che proporzionale rispetto al volume  d’affari ed è incentivato a promuovere affari di valore sempre più  alto.

3. Percentuale  decrescente

È il caso  inverso del precedente. All’aumento del valore dell’affare corrisponde un  decremento dell’aliquota. Il sistema è poco diffuso in quanto disincentivante.  Si utilizza soprattutto per calcolare la provvigione su un singolo affare in  alcuni settori particolari (grandi impianti e macchinari). Il contratto deve  prevedere espressamente quando un affare deve considerarsi singolo.

4. Cifra fissa  per singole quantità di prodotto

Il sistema  della percentuale fissa è meno dinamico e non mette al riparo l’agente dalle  variazioni di prezzo. La cifra fissa, comunque, può aumentare in funzione della  quantità di prodotto venduto, avvicinandosi, in questo modo, al sistema della  percentuale crescente.

5. Sistema  misto

Si prevede una  percentuale (costante o differenziata) e premi a cifra fissa o crescente che  vengono riconosciuti all’agente quando il volume degli affari supera una  determinata quota. Il sistema misto presenta il vantaggio della flessibilità,  data dalla percentuale, e permette all’agente di beneficiare dei premi di  produzione, funzionando da incentivo alla promozione degli affari.

6. Il  sovrapprezzo

All’agente non  viene riconosciuta né una percentuale né un fisso bensì solo il sovrapprezzo,  ossia la differenza in positivo tra il prezzo fissato dal preponente e il prezzo  spuntato dall’agente. Il sistema del sovrapprezzo, però, tende a provocare un  aumento dei prezzi a discapito dell’aumento della produzione. Pertanto, il  sistema è ormai quasi in disuso.

 

Estratto conto  delle provvigioni

L’art. 1749 comma 2 c.c. prevede che il  preponente consegni all’agente un estratto conto delle provvigioni dovute, al  più tardi l’ultimo giorno del mese successivo al trimestre nel corso del quale  sono maturate. Entro lo stesso termine, le provvigioni liquidate devono essere  effettivamente pagate all’agente.

 

La liquidazione  delle provvigioni

Una vota  maturate, nasce in capo all’agente il diritto alle provvigioni. La liquidazione,  quindi, avviene trimestralmente, con la compilazione da parte del preponente del  c.d. conto provvigioni, comprensivo di tutte le provvigioni maturate dall’agente  nel corso del trimestre. Entro trenta giorni dalla scadenza del trimestre,  l’agente deve ricevere il conto delle provvigioni e il relativo pagamento. I  termini, per la redazione del conto e l’effettivo pagamento, possono essere solo  più brevi. In caso di ritardo nel pagamento di oltre 15 giorni, il preponente  deve versare per tutti i giorni di ritardo un interesse in misura pari al tasso  ufficiale di riferimento. Nella prassi, è molto diffuso il  sistema degli anticipi su base mensile. Alla chiusura del trimestre vi è un  conguaglio, anche nel caso di anticipi per affari “salvo buon fine”.

 

Indennità di  scioglimento del contratto

Vi è un  profondo contrasto di legittimità tra la disciplina dettata dall’art. 1751 c.c.  e quella prevista dagli AEC 2002, la cui trattazione esula il presente lavoro.

L’art. 1751 c.c. è applicabile nei rapporti con  agenti stranieri e con agenti non iscritti alle associazioni firmatarie degli  AEC, nonché in tutti i casi in cui il giudice ritiene illegittima la disciplina  collettiva sull’indennità. L’art. 1751, prevede che all’atto della cessazione  del rapporto contrattuale, il preponente sia tenuto a corrispondere all’agente  un’indennità. Questa è dovuta solo se concorrono cumulativamente due condizioni.  Il primo luogo, durante la vita contrattuale, l’agente deve avere procacciato nuovi clienti ovvero deve avere sensibilmente sviluppato gli affari con i  clienti esistenti e il preponente ne riceva ancora vantaggi  sostanziali. In secondo luogo, l’ammontare dell’indennità deve essere equo,  tenuto conto di tutte le circostanze del caso, in particolare delle provvigioni  che l’agente perde, risultanti dagli affari con tali clienti.

L’indennità è  dovuta anche se il rapporto cessa per morte dell’agente. L’indennità, invece,  non è dovuta in caso di recesso del preponente per giusta causa e in caso di  recesso dell’agente, salvo che tale recesso sia dovuto a circostanze  attribuibili al proponente ovvero da altri motivi quali età, infermità o  malattia, per i quali l’agente non può proseguire l’attività. L’indennità,  inoltre, non è dovuta se l’agente, ai sensi di un accordo con il preponente,  cede a un terzo il contratto di agenzia. L’agente, poi, decade dal diritto  all’indennità se entro un anno dalla cessazione del rapporto, non comunica al  preponente l’intenzione di far valere i propri diritti. La concessione  dell’indennità, comunque, non priva l’agente del diritto all’eventuale  risarcimento dei danni.

L’importo  dell’indennità non può essere superiore all’indennità annua calcolata sulla base  delle retribuzioni medie riscosse dall’agente negli ultimi cinque anni. Se il  contratto ha meno di cinque anni, l’indennità si calcola sulla media del periodo  di durata del contratto.

Le norme  previste dall’art. 1751 sono inderogabili a svantaggio dell’agente.

Per poter  pretendere l’indennità, l’agente deve provare l’esistenza dei requisiti imposti  dall’art. 1751 comma 1. Pertanto, deve essere provato sia l’apporto di clientela  sia la permanenza della stessa presso il preponente dopo la fine del rapporto.  In assenza di tali presupposti, non sorge in capo all’agente il diritto  all’indennità. L’articolo in commento non fornisce alcun criterio per la  determinazione dell’ammontare dell’indennità ma indica solamente un tetto  massimo, pari alla media annua delle provvigioni degli ultimi cinque  anni.

Nella  determinazione dell’ammontare, quindi, si seguono necessariamente elementi  empirici, quali l’importanza dei nuovi clienti apportati, i vantaggi ricavati  dal preponente grazie ai nuovi clienti, le provvigioni perse dell’agente, il  contributo dell’agente allo sviluppo della clientela, il comportamento  dell’agente durante il rapporto e così via. Nella prassi, anche giudiziale, si  parte dal massimo dell’indennità e si determina una percentuale equitativa  tenendo in considerazione gli elementi empirici individuati. Tuttavia, data  l’inevitabile discrezionalità implicita nel metodo di calcolo equitativo, i  risultati che si possono raggiungere possono essere sensibilmente disomogenei.